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Cristina Campo :poetessa dell'umilta' e della perfezione (Tesi di Laurea di Elena Baldoni-Introduzione)


LA POESIA DI CRISTINA CAMPO:
ALLA RICERCA DELLA PERFEZIONE

Relatore: Chiar.mo Prof. Umberto Piersanti Tesi di Laurea di: Elena Baldoni



Introduzione


1. La riscoperta

Cristina Campo è la scrittrice italiana (saggista, poetessa e traduttrice) che,
ignorata dalla critica mentre era ancora in vita - nacque nel 1923 morì nel 1977 -,
è stata ultimamente riscoperta e rivalutata, conquistando così quella meritata
attenzione negatale un tempo. Tale rinnovato interesse è culminato nella recente
pubblicazione della prima biografia a lei dedicata, intitolata suggestivamente
Belinda e il mostro, dal titolo della fiaba che prediligeva.
Bolognese di nascita, ma fiorentina e poi romana di adozione, Cristina Campo
visse un percorso letterario appartato e particolare rispetto alla cultura dominante
negli anni ’60 e ’70 (è questo il periodo in cui si collocano le sue poche opere
pubblicate in vita), e proprio in questa lontananza dall’ufficialità occorre ravvisare
la ragione principale di tale passaggio artistico inosservato.
La neo-avanguardia e la letteratura engagée monopolizzavano lo scenario
culturale dell’epoca, lasciando poco spazio e scarsissima possibilità di imporsi ad
una scrittrice che trattava di argomenti elitari (tra i temi principali dei suoi saggi:
le fiabe, il destino, la perfezione, la sprezzatura, la liturgia, i sensi soprannaturali),
che scriveva poesie di nostalgica aura ermetica o di eco barocca – ad anni luce di
distanza dallo sperimentalismo formale neo-avanguardistico – e che amava
«l’aristocratico Hoffmansthal, l’alto-borghese Mann, il solitario Proust».
Introduzione
II
Elémire Zolla, compagno e maestro di Cristina Campo, a proposito del silenzio
creatosi attorno alla scrittrice, spiega che:
«Fino al 1980 c’era […] un sistema di divieti, instaurati nel 1968, e rientrava in essi la
proibizione di menzionare Vittoria. Fece eccezione Calasso, che osò scriverne un
necrologio per il “Corriere della Sera”».
Oltretutto, ad aggiungersi a questa insanabile divergenza tra la Campo e la
letteratura ufficiale, vi era il fatto che la scrittrice lavorò sempre appartata e
schiva, indifferente al mercato delle lettere, e quando pubblicò si nascose dietro a
vari pseudonimi. Non fu quindi soltanto il mondo circostante ad emarginarla, fu
anche sua la volontà di nascondersi, di rendersi invisibile.
Certo, aveva contatti con gli ambienti letterari e culturali dell’epoca, ma si
trattava di gruppi isolati dal panorama ufficiale, composti soprattutto da nomi
destinati a non mescolarsi, e quindi nemmeno a distinguersi, nel contesto culturale
del tempo (con l’eccezione di alcune conoscenze «importanti» come, ad esempio,
Mario Luzi). Quello di Cristina Campo era un ambiente intellettualmente
aristocratico e così, per lungo tempo, il suo pubblico rimase costituito
esclusivamente dagli amici e dai pochi lettori delle riviste alle quali collaborava
(una su tutte, «Conoscenza religiosa», la rivista diretta da E. Zolla).
Ma dal 1987, con la ripubblicazione, presso la casa editrice Adelphi, dei saggi
campiani (Gli imperdonabili), si è assistito ad un crescente interesse da parte di
critica e pubblico. Da allora l’Adelphi ha continuato a stampare libri della Campo.
Il 1991 è l’anno di pubblicazione della raccolta di poesie e di traduzioni poetiche
(La Tigre Assenza); nel 1998 viene edito il volume che riunisce i lavori critici
sparsi, scritti dalla Campo sotto diversi pseudonimi (Sotto falso nome); infine il
1999 vede la pubblicazione dell’epistolario campiano all’amica Margherita
Pieracci Harwell (Lettere a Mita).
Introduzione
III
Secondo Pietro Gibellini, è proprio l’etichetta editoriale in sé che spiega il
revival odierno:
«Poiché vien da pensare che anche i libri oggi si acquistino spesso a scatola chiusa, in
base alla “firma” dello stilista; ma la “firma” Adelphi si è meritata il ruolo. Vero è che la
casa editrice milanese ha saputo catturare negli anni il meglio del pubblico,
conservandone la fedeltà»6.
E se l’etichetta si è dimostrata fondamentale per la scoperta di Cristina Campo
da parte dei lettori, non meno importanti sono stati i convegni dedicati alla
scrittrice, che hanno risvegliato l’interesse dei critici.
Il primo convegno organizzato per merito della già citata Margherita Pieracci
Harwell (la principale curatrice delle opere della Campo) in occasione del
ventennale della morte, il 7-8 gennaio 1997 presso il Lyceum di Firenze, ha aperto
la strada al convegno tenutosi presso la Comunità di Bose (BI) il 19 aprile 1998, e
al convegno di Sopramonte (TN) del 20 dicembre 1998.
Vorrei sottolineare che gli incontri svoltisi nel 1998 si collocano in un
ambiente religioso (la comunità di Bose è monastica; il seminario di Sopramonte è
stato organizzato dall’associazione culturale trentina sorta in memoria di Mons.
Oscar Romero), poiché ciò dimostra che grande parte della recente attenzione
rivolta alla scrittrice è dovuta all’autentica spiritualità che pervade ogni suo tipo di
scritto.
E proprio il clima di risveglio della spiritualità, che sembra caratterizzare i
nostri anni – dopo l’irrigidimento materialistico degli anni ’80 –si rivela il terreno
favorevole per la riscoperta della scrittrice che sempre dichiarò la sua «incredulità
nell’onnipotenza del visibile».
Oltre a questa motivazione, legata ai contenuti della produzione letteraria
campiana, occorre considerare un’altra importante ragione, questa volta di
carattere estetico-formale, per poter spiegare la postuma scoperta della Campo: la
Introduzione
IV
sua scrittura nasce da un culto estremo e sofferto per la bellezza e per la
perfezione stilistica, è quindi una scrittura che incanta il lettore. In un panorama
letterario dominato dalla facile letteratura di mercato, leggere le poesie e le prose
di Cristina Campo è davvero un catapultarsi in un altro mondo: «Due mondi – e io
vengo dall’altro», scriveva la Campo stessa nel suo testamento poetico, Diario
bizantino.
Sarà il culto per la perfezione dunque, l’argomento che svilupperò in questo
lavoro.
2. La perfezione
L’attività letteraria di Cristina Campo si snoda tra produzione saggistica,
attività di critica, traduzione e creazione poetica. A queste forme di scrittura può
aggiungersi anche il genere epistolare che, sebbene nasca per una destinazione
privata, non può considerarsi inferiore, quanto a perfezione, rispetto agli scritti
campiani rivolti al lettore pubblico.
Ho utilizzato la parola «perfezione» non casualmente poiché, come ho già
anticipato, il culto per questo valore (o per la bellezza, concetto equivalente a
quello di perfezione secondo la scrittrice, che spesso associa i due termini:
«Perfezione, bellezza. Che significa?»8) può essere considerato uno degli aspetti
principali – oltre alle riflessioni sulla fiaba, sul destino, sulla liturgia – della
ricerca della Campo, la quale disse di sé: «Ha scritto poco e le piacerebbe avere
scritto meno»9, dimostrando in tal modo la forza che esercitava su di lei quel
«trappismo della perfezione»10 che l’obbligava moralmente a non pubblicare se
non quel poco che le risultasse perfetto.
Concentrandomi specificatamente sulla produzione poetica della Campo (ma
tenendo sempre in considerazione anche le altre sue forme di scrittura), ho
Introduzione
V
intenzione di dimostrare quali siano i diversi e progressivi significati della parola
«perfezione».
Oltre all’aspetto estetico-stilistico del concetto, è infatti necessario considerare
l’aspetto morale, in base al quale la ricerca di perfezione è percorso di
purificazione dell’io, e l’aspetto spirituale, che si manifesta nella meta finale, di
carattere religioso, della quête.
La prima produzione poetica della Campo, quella rappresentata dalla raccolta
del 1956, Passo d’addio, è ancora interpretabile, per quanto concerne il versante
formale, come fase estetica della perfezione e, relativamente ai contenuti, come
volontà di intraprendere un percorso di perfezionamento interiore, morale. Si può
dunque parlare, per queste poesie, di ricerca di perfezione stilistica (soprattutto
nell’eleganza lessicale di origine ermetica e nel ripetersi delle stesse immagini
ritenute perfette) e di proponimento di perfezione morale (la scrittrice decide di
dire addio ai «peccati» dell’adolescenza).
La fase intermedia dell’ attività poetica campiana, negli anni ’57-’58, è
caratterizzata da una piccola manciata di liriche sparse che definirei poesie di
passaggio: vi si legge infatti il cammino di quel perfezionamento interiore che si
era manifestato soltanto sotto forma di proposito nei versi di Passo d’addio. Tale
via della perfezione si risolve nell’abbandono di tutto ciò che è considerato
imperfetto, malvagio: dal punto di vista soggettivo è l’addio all’io, alla sua
pesantezza e alla sua azione falsificante nella comprensione della realtà delle cose
e nella perfezione dello stile; dal punto di vista oggettivo è l’addio al mondo
circostante (si esprime in tal modo l’addio al presente malato, così come nelle
liriche del ’56 si esprimeva l’addio al passato troppo ricco di passione).
Introduzione
VI
Per quanto concerne l’aspetto formale, anche queste poesie esprimono una
costante ricerca di perfezione – qui sono i contrasti di luci e colori e le descrizioni
intense a creare un’atmosfera di struggente bellezza.
Le due uniche poesie che, apparse in rivista nel 1969, spezzano il silenzio
poetico della scrittrice, sono intitolate La Tigre Assenza e Missa Romana; l’una
nasce dal dolore per la perdita dei genitori, l’altra è la rappresentazione in versi
dell’attività campiana per la salvaguardia della messa in latino. La prima poesia
mi permetterà di trattare un particolare aspetto della perfezione stilistica, ovvero la
concretezza d’immagini; la seconda può considerarsi come prima manifestazione
dell’amore della Campo per la perfezione della liturgia.
Le ultime poesie, quelle apparse sulla rivista «Conoscenza religiosa» nel 1977
poco dopo la morte della scrittrice, rappresentano la destinazione finale della
ricerca bellezza: il mondo perfetto della liturgia bizantina. Ora l’aspetto estetico
della perfezione acquista una profondità di valori che non aveva nelle poesie
precedenti, infatti, la folgorante bellezza del rito (il linguaggio altisonante, gli
incensi e balsami, le icone e candele, i profumi di rose…) diventa espressione
simbolica della Bellezza, della Perfezione, ovvero di Dio:
«Gli splendori del rito: le fiamme, gli incensi, le tragiche vesti, la maestà dei moti e
dei volti, il rubato di canti, passi, parole, silenzi, tutto quel vivido, fulgido, ritmico cosmo
simbolico che senza tregua accenna, allude, rimanda a una suo doppio celeste, del quale
non è che l’ombra stampata sulla terra»11.
In questo mondo liturgico, oltre alla meta spirituale della perfezione estetica, si
legge anche la meta del percorso di purificazione morale intrapreso dalla Campo.
Dimostrerò le tappe del cammino della scrittrice verso Dio e la particolarità
dell’esperienza religiosa campiana che, pur essendo caratterizzata da un’intensità
Introduzione
VII
tale da rievocare le figure delle mistiche e sante di altri tempi, non è definibile nei
termini di vera e propria esperienza mistica (perlomeno secondo il modello
occidentale), poiché l’ascesi rimane come bloccata, l’innalzamento verso Dio è
controllato: il senso del limite, della misura e il controllo stilistico-formale non
permettono il definitivo distacco ascetico dell’anima dal corpo

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